sabato 4 ottobre 2008

UN AUTUNNO DI MOSTRE D'ARTE. part1 ROMA

Jean-Michel Basquiat
fantasmi da scacciare
Tutto sembra essere nato da una passione per Gray's Anatomy. Non le intricate storie sentimentali della bella dottoressa Meredith (che di cognome fa per l'esattezza Grey) ma autentica anatomia del corpo umano, frammenti di ossa e organi, sezionati e accuratamente riprodotti su sfondo nero come su una lavagna di scuola. Aveva sette anni, Jean-Michel Basquiat quando venne investito da un'automobile mentre giocava a pallone per le strade di Brooklyn, e durante la convalescenza in ospedale si appassionò, come vuole la sua leggendaria biografia, alla lettura dell'Anatomia del Gray, famoso libro scientifico che la madre gli aveva regalato. E sarà proprio questa idea di corpo frammentario e incompleto a emergere come una costante precisa nei lavori che lo hanno reso famosissimo, in una carriera straripante e fulminea, letteralmente consumata nel giro sincopato di otto anni, dall'alba del 1980 quando espose per la prima volta in una galleria alternativa del Bronx specializzata in graffiti, al tramonto dell'88, quando a neanche 28 anni, noto e stritolato dalla morsa del mercato dell'arte, tormentato da dubbi e impulsi autodistruttivi, manie di grandezza e timidezza claustrofobica, adulazione e oppressione, il suo corpo non resse all'ennesimo cocktail di stupefacenti e crollò.
Come racconta Olivier Berggruen, curatore della retrospettiva "Jean-Michel Basquiat. Fantasmi da scacciare" ospitata dal 2 ottobre all'1 febbraio a Palazzo Ruspoli: "Il corpo come tutto organico è scomparso. I frammenti assumono una vita propria, equivalente estetico del feticismo. E' proprio questo senso di corpo danneggiato o segnato da cicatrici, frammentato, incompleto o dilaniato, che emerge dal lavoro di Basquiat. Paradossalmente, è l'atto stesso di creare queste rappresentazioni a creare una valenza positiva, quasi corporea, tra l'artista e il suo senso dell'essere o dell'identità. La rappresentazione del corpo frammentato si contrappone all'atto che conduce a quella rappresentazione". La mostra romana condensa questa meteora di artista con i suoi vezzi estetici in un percorso di circa 40 opere, tra istituzioni museali e collezioni private americane e europee, dove spiccano anche alcuni saggi delle note e chiacchierate Collaborations, acrilici su tela firmati a sei mani con il guru Andy Warhol e l'italiano che negli anni Ottanta ha conquistato New York Francesco Clemente, oltre a dieci opere inedite e cinque fotografie ancora sconosciute scattate da Michael Halsband che ritraggono Basquiat in tutta la sua spudorata e giocosa bellezza.
D'altronde aveva vent'anni ed era bellissimo, quando comparve sulla scena di Manhattan, nella sua silhouette longilinea, i lineamenti delicati ma con gli occhi persi dietro a uno sguardo timido, i capelli un po' rasta e una cravatta, una di quelle che amava collezionare e che indossava costantemente per sentirsi glam nella giusta misura.

Aveva 20 anni quando cominciò a farsi conoscere in un modo tutto suo, talentuoso genietto di colore, enfant terrible del graffitismo, rapper dello spray, cospiratore di tag poetici e filosofici sui muri trendy del Greenwich Village e Soho, codificatore di aforismi a ritmo jazz ma anche divoratore precoce di cocktail a base di eroina. Lo stesso che lo tradirà il 12 agosto dell'88, quando venne trovato riverso a terra nel suo appartamento in Great Jones Street.
La rassegna romana racconta la sua arte fatta di composizioni a metà tra letteratura e pittura, dove spiccano parole, fraseggi, giochi lessicali che sembrano rubati a un rapper di classe - le prime sui muri erano siglate "SAMO" acronimo che stava per "SAme Old Shit", ossia la "solita vecchia merda" - incursioni spray, fumetto e fraseggi beat, disegni elementari, quasi infantili e primitivi, dove incombono macchinine, camioncini, aeroplanini, animali, colate di colore denso, che strizzano l'occhio all'action painting di Kline e de Kooning. E ancora maschere mostruose come teschi d'arte africana, parti di anatomie umane, creature simili a zombi che sembrano tornati dal mondo dei morti, proprio quei "fantasmi da scacciare" frase prediletta da Basquiat che compare in almeno tre dei suoi quadri. Opere, alcune di grande formato, che diventano scenografie di parole in rapporto a segni, in un saggio di rap amanuense, infarcito di citazioni di personaggi famosi.
I suoi eroi neri, tra maestri del jazz, boxe e baseball, le sue icone come Charlie Parker, Hank Aaron. Un'arte che sa tanto di elegante spontaneità improvvisata e scarabocchiata alla Cy Twombly, artista che Basquiat amava letteralmente, e di primitivismo spietato, "brut" e infantile alla Jean Dubuffet, tanto che nel 1981 il noto critico René Ricard commentò: "Se Cy Twombly e Jean Dubuffet avessero un bambino e lo affidassero in adozione, questi sarebbe Jean-Michel". Una parata di immagini, quelle della mostra, che offrono il ricordo del romantico dandy dell'East Village multietnico, figlio degli opulenti anni Ottanta, ancora spruzzati di un'impercettibile tensione razzista, la cui figura di artista rimarrà marchiata, se non sopravvalutata, dal cliché dell'eccesso. Con una biografia degna di un film - realizzato poi dal suo amico fraterno e artista Julian Schnabel - quando si manteneva vendendo davanti al Moma cartoline e magliette disegnate da lui (lo stesso Warhol ne comprò una), e suonando col gruppo "Gray" - clarinetto e sintetizzatore - di cui faceva parte anche l'attore Vincent Gallo, girando per il Mudd Club e il Club 57, locali all'epoca frequentati da gente come Warhol, una giovane Madonna, e Diego Cortez, quello che sarà il suo primo gallerista.
Dall'80 in poi è stato un crescendo di incontri, amicizie - soprattutto Andy Warhol - donne, cambiamenti di residenza, collettive e personali - dalla California alla Costa d'Avorio - con la firma dei più potenti galleristi e mercanti della scena contemporanea, tra Mary Boone, Bruno Bischofberger, Annina Nosei, Emilio Mazzoli, Larry Gagosian, Vrej Baghoomian, mentre, parallelamente, la sua mente e il suo corpo si nutrivano di musica jazz, letteratura beat e acidi fulminanti, la "solita vecchia merda". Una vita leggendaria che diventa un'agonia auto-referenziale in tutta la sua estetica. La figura rosso scuro di "Crowns", persa in un attacco di panico, le silhouettes smagrite e fluttuanti senza peso dei suoi "Self-Portrait", con una aureola di spunzoni nel "Black Feathers", come scheletro silenzioso di "Riding with Death", uno degli ultimi quadri realizzati prima della morte, quasi un pamphlet esistenziale da commiato leggendario.
Dove: a Palazzo Ruspoli,Fondazione Memmo, Via del Corso 418, Roma. oltre 40 tele, tra cui dieci inediti, e fotografie, che ripercorrono la fulminea ma leggendaria carriera dell'artista
Quando: 2 ottobre-1 febbraio 2008

indovinate qual'è la mia mostra preferita?...

Picasso 1917-1937
La mostra intende presentare l’opera del grande maestro spagnolo in momento davvero fondamentale nella sua lunga carriera, ovvero negli anni tra le due grandi guerre. A quel tempo, Picasso stava attraversando contemporaneamente diverse fasi artistiche anche contraddittorie tra loro, senza mai scegliere un sentiero definitivo, e, per usare una metafora, era come un giocoliere che tiene in equilibrio in aria diverse palle. La volontà di quest’esposizione è proprio quella di dimostrare che questo era il suo modo di rispondere a molte istanze: ritorno all’ordine (neoclassicismo), astrazione (dato che egli dichiarò di non amarla, nessuno si è mai occupato del dialogo che ebbe con questa corrente), Surrealismo, Matisse, Espressionismo, ecc. Un Picasso enciclopedico, dunque, che affronta tutte le tematiche artistiche del XX° secolo e non solo un eroe solitario che si occupa della sua complessa vita personale.
Quando: dal 10/10/2008 al 08/02/2009
Dove: Complesso del VittorianoVia di San Pietro In Carcere-Roma


Bruno Munari(scultore illustratore grafico designer)
Al poliedrico artista milanese (scultore, illustratore, grafico, designer, con la passione per la didattica per l’infanzia) il Museo dell’Ara Pacis di Roma dedica un'importante mostra antologica.
La mostra nasce da un approfondito lavoro di ricerca e da un progetto affinato nel corso degli anni. Accanto alle opere più note - come i progetti di allestimenti degli anni Quaranta e Cinquanta, gli interventi artistici in opere di architettura tra i Cinquanta e Sessanta, i progetti di grafica, la collaborazione con alcune delle realtà più significative per la cultura italiana del dopoguerra (Einaudi, La Rinascente, Olivetti e Danese) - ed evidenziando il particolarissimo metodo progettuale, vero denominatore comune della sua multiforme attività, l'esposizione sottolinea anche alcuni aspetti meno indagati dell'opera di Munari, tra cui il rapporto con il mondo dell'architettura e la sua collaborazione praticamente ininterrotta con molte delle riviste italiane dedicate al progetto, alla comunicazione e all'arte.
Il percorso espositivo, organizzato per aree tematiche non cronologiche o tipologiche, mette in relazione settori disciplinari normalmente distanti, ma che per Munari rappresentano solo momenti diversi di un'unica attività progettuale.
Quando : 9 Ottobre 2008 - 22 Febbraio 2009
Dove : Museo dell' ARA PACIS

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